Scavando nel passato con matite e pastelli – Fonte: BitontoTv – 26.03.2012
È passato poco tempo dalla sua uscita in libreria, eppure “Il mestiere dell’archeologo” di Giovanna Baldasarre con le illustrazioni di Domenico Sicolo ha già ottenuto una notevole gratificazione: vincitore del premio PugliaLibre 2011 nella categoria “miglior libro per ragazzi“. Dopo aver seguito la presentazione del progetto, siamo riusciti ad intervistare l’autrice e il suo primo collaboratore.
Come è nata la vostra collaborazione e quale idea campeggia dietro questo progetto?
Giovanna B.: Ho conosciuto Domenico su segnalazione di un caro amico in comune, Giacomo, anch’egli archeologo. Giacomo mi aveva parlato con un tale entusiasmo delle “abilità” fumettistiche di Domenico da incuriosirmi e convincermi ad incontrarlo. È bastato un semplice schizzo su una situazione archeologica standard (un archeologo che trova un reperto), utile a capire lo stile dell’illustratore, per persuadermi che fosse la persona giusta per dare forma e colore a quanto avevo in mente. Per il resto, il libro “Il mestiere dell’archeologo” e un secondo quaderno didattico sulla straordinaria villa romana di Faragola (vicino Ascoli Satriano), da me scritto e illustrato da un’archeologa foggiana, Francesca Giannetti, costituiscono l’esito conclusivo di un progetto finanziato da una borsa della Regione Puglia (Ritorno al Futuro), che ha avuto come partner la casa editrice Gelsorosso e l’Università di Foggia. Obiettivo fondamentale del mio lavoro far conoscere ai ragazzi ma anche agli adulti l’archeologia e la professione di archeologo nella maniera più scientifica e realistica possibile, al di là di tutti i consumati e infondati luoghi comuni che circolano su questo mestiere. Ai bambini che incontro nelle scuole ripeto fino alla nausea che “Indiana Jones è un film, l’archeologia è una scienza“.
Quando disegna luoghi o volti, Domenico, lei trae ispirazione da quello che la circonda o il suo è un lavoro di totale “fantasia”? In modo particolare, per questo ultimo progetto, si è recato personalmente in un sito archeologico per osservare il metodo di lavoro di questi “scienziati della storia”?
Domenico S.: Credo che il lavoro di un disegnatore sia molto spesso un lavoro di inconscio, più che di fantasia. I volti, i luoghi, gli abiti, oppure i semplici oggetti scaturiscono da un archivio di ricordi, sensazioni, sogni che si frammentano, si deformano e si ricompongono all’infinito dando origine a immagini sempre nuove. Anche i personaggi che ho creato per queste illustrazioni hanno sicuramente molto a che fare con il mio vissuto, con le persone che vedo quotidianamente, o i passanti che incrocio distrattamente per strada. Naturalmente, quando si affrontano argomenti più peculiari e tecnici, e tanto più quando le esigenze di un certo rigore scientifico lo richiedono, come nel caso di questo libro, il proprio bagaglio non è sufficiente, e bisogna documentarsi in maniera adeguata. Giovanna mi ha fornito moltissimo materiale di riferimento tra immagini, testi e video e questo è stato fondamentale per trovare un’intesa visiva, per comprendere per esempio fino a che punto dovevano essere dettagliate e realistiche le illustrazioni. Rendere poi il tutto un po’ più morbido, semplice e leggibile è specificamente quello in cui consiste il mio mestiere.
Matite e pastelli possono divenire strumenti magici che, come lei stesso ha detto, sono capaci di catapultare chi ne fa uso in mondi diversi e lontani, rendendoli principi, stregoni e in questo caso archeologi. Ciò nonostante negli ultimi tempi i ragazzi sembrano aver abbandonato questi passatempi, sostituendoli con i famosi videogiochi dove vengono presentate realtà già confezionate che non lasciano spazio alla fantasia. Come crede si possano rivalutare certe attività per stimolare la fantasia e l’originalità dei giovani?
D.S.: Il grosso problema di quest’epoca è paradossalmente il suo alto grado di evoluzione e di efficienza. Il che rende tutto drammaticamente prevedibile e programmato. I ragazzi si trovano davanti un mondo bello e pronto da consumare, e parlo di tutto, di organizzazione sociale, di scuola, di carriera, e infine persino di tempo libero, con praticamente nessun margine per intervenire. Questo deve generare una certa frustrazione. Frustrazione e pigrizia.
Penso che l’arte, la fantasia, l’immaginazione, l’inventiva, la scienza stessa siano sempre state delle risposte a delle esigenze innate di cambiamento, all’impulso di realizzare qualcosa di bello, di migliorare il mondo, impulso sacrosanto che oggi viene deliberatamente soffocato.
Probabilmente i videogames, come le altre oasi virtuali, sono la naturale ed emblematica reazione a tutto questo, alla pigrizia e al bisogno di evadere, di avere a disposizione realtà alternative, in cui si ha l’illusione di poter agire in maniera determinante.
Come stimolare i giovani? Semplicemente lasciandoli un po’ più sulle loro gambe, toglierli dai binari delle decisioni che le generazioni precedenti hanno preso per loro. Alleggerire le cartelle e i calendari, cancellare qualche impegno ed affidar loro una fetta più grande della loro vita, e lasciare che scelgano quali esperienze fare, artistiche o meno. Non tutti faranno le scelte giuste. Ma la creatività, in ogni sua forma, ha bisogno di un foglio bianco.
Ha dichiarato che libri e disegni sono le sue passioni più grandi, da sempre, passioni che crescendo è riuscito a conciliare. In che modo ha affinato la sua abilità di illustratore? C’è un disegno in particolare che le è piaciuto realizzare?
D.S.: In effetti scrittura e illustrazione sono semplicemente due lingue diverse (le più primitive) della nostra fantasia. Da bambino sono stato grande fruitore di libri e di immagini, e a pensarci il fatto che ora io viva illustrando libri è la conseguenza di scelte che si perdono nella memoria.
Disegnare per me è sempre stata un’esperienza meravigliosa, e la matita una specie di bacchetta magica con cui imparare ogni giorno nuovi incantesimi.
Col tempo ho approfondito tecniche, stili, metodi e regole, ho scambiato i miei piccoli segreti con altri, e ho imparato che ci sono scorciatoie; ma la verità è che se vuoi fare bene qualcosa, devi esercitarti, e che se ti eserciti migliori per forza di cose. Il talento non so, forse; ma credo più nella passione. E alla fine ci sei tu e un universo bianco, e tutto può succedere.
Probabilmente il disegno di copertina, quello con la torta. E’ un’idea tutta di Giovanna, mi è piaciuta moltissimo ed ho insistito perché diventasse un po’ il simbolo del suo libro. E’un’immagine che lei ha sempre avuto in mente e che utilizza spesso quando spiega ai bambini il concetto di stratigrafia. Molto chiara e fantasiosa, rende visibile quello che difficilmente si può descrivere; che, per l’appunto, è il lavoro che deve fare un’illustrazione
Le è mai venuta in mente l’idea di ambire ad un progetto più grande come quello di creare un proprio fumetto o magari di collaborare alla realizzazione di un cartone animato?
D.S.: Pubblicare un fumetto o creare un cartone animato significa avere a disposizione un apparato produttivo che coinvolge case editrici, studi, case di produzione ed un intero settore che ancora non è sufficientemente sviluppato in Puglia.
Ad ogni modo, con i ragazzi della mia piccola Accademia del Fumetto, alla Libreria Hamelin, siamo già in fase di conclusione di un piccolo cortometraggio animato, che nelle nostre intenzioni è solo il primo passo prima di intraprendere progetti più impegnativi ed articolati. Così come sono diversi i lavori in corso su personaggi e soggetti ancora inediti.
Per il resto, in un mestiere come questo si lavora sempre così, un po’ con i piedi per terra e un po’ con la testa tra le nuvole. E se dovessi trovare il coraggio di raccontare tutto ciò a cui mi è venuta in mente l’idea di ambire, mi sveglierei presto in una stanza angusta tra quattro candide pareti imbottite.
Di sicuro il mestiere dell’archeologo è tra i più interessanti e fascinosi, ma di preciso, dott.ssa Baldassarre, come è nata questa sua passione?
G. B.: La mia passione è nata quando era bambina, come scrivo nella presentazione al libro. In terza elementare la mia maestra ci portò in gita a Bari a visitare il museo archeologico nel palazzo dell’Ateneo, ormai chiuso da molti anni. I reperti conservati in quelle sale mi colpirono molto, non tanto e non solo come oggetti antichi in sé, quanto come reperti che qualcuno aveva riportato alla luce e restituito al mondo col suo lavoro. E allora io, che fino a quel momento mi ero immaginata un futuro da medico, decisi che avrei fatto l’archeologa a qualunque costo. Cominciai a leggere libri sull’argomento, a vedere i documentari in tv (ho ancora le VHS con le registrazioni), a chiedere a mio padre di “regalarmi” visite a musei e siti archeologici… A distanza di anni credo che molto abbia pesato su questa scelta irrevocabile, la mia personale inclinazione a scavare nel profondo delle cose (e di me stessa), ad andare oltre le apparenze, ad esplorare i meccanismi della dimensione umana. Quando si lavora in un cantiere di scavo, non si sa mai cosa potrebbe venir fuori e ogni ritrovamento pone innumerevoli interrogativi. E l’archeologo non ha pace fino a quando non riesce a trovare delle risposte verosimili e soddisfacenti.
Qual è stata, nel suo lavoro, l’esperienza più entusiasmante? E cosa pensa dovrebbero imparare i giovani dall’archeologia?
G. B.: Ogni cantiere di scavo a cui ho partecipato (prima con l’Università di Bari, dove mi sono laureata, e poi con quella di Foggia, dove ho conseguito il dottorato di ricerca), cantieri che sono stati delle vere e proprie “palestre” e dove ho avuto modo di apprendere e far apprendere i rudimenti del mestiere, costituisce una storia a sé. Due di essi in particolare ricordo con nostalgico piacere: il primo ad Ordona (Foggia) nel 2000, era la mia prima esperienza di scavo ed ero emozionata come una debuttante; il secondo la campagna di scavo della villa romana di Faragola, nel 2003. Mi ero laureata da pochi giorni e perciò ero carica di entusiasmo e aspettative. Eravamo in pochi, scavammo in aperta campagna a luglio con 40° gradi all’ombra, ma ci divertimmo tanto, una vacanza alternativa, e poi sotto di noi si celava un sito, che già si preannunciava straordinario dai pochi indizi emersi, da riscoprire e conoscere.
Quando si scava si impara ad essere pazienti nella ricerca e ad attribuire valore al più piccolo e vile frammento che si rinviene. Credo che sia una buona lezione di vita per un giovane che si accosti a questo mestiere. E poi il lavoro degli archeologi è un lavoro di squadra, che in quanto tale favorisce la socialità e il confronto.
Cosa pensa a riguardo dei programmi televisivi per ragazzi che divulgano argomenti legati all’archeologia e alla storia antica? Crede che i giovani debbano essere aiutati a valutare le informazioni che assimilano dalla televisione e da internet?
G. B.: I programmi di Piero e Alberto Angela restano i migliori a mio parere; ogni puntata è costruita con rigore e serietà e presuppone un lavoro di approfondimento degno di una disciplina scientifica qual è l’archeologia e le sue innumerevoli branche. Perplessità mi suscitano altri programmi quali Voyager e simili che alimentano false credenze e che puntano sul sensazionalismo fine a se stesso più che su una analisi storica reale. Credo, comunque, che non attraverso i media e internet si debbano accostare i giovani a questa disciplina, perlomeno non in prima istanza. Gli stimoli vanno forniti a scuola e assecondati in famiglia; occorrono progetti scolatici mirati da organizzare assieme ad esperti del settore, iniziative culturali a livello territoriale che facciano conoscere ai bambini la storia del territorio in cui vivono, progetti di lettura che privilegino i testi didattici a carattere storico ecc. E poi, per quanto possa risultare anticonformista: anziché organizzare costosissime feste in ludoteca per il compleanno dei bambini o regalare giochi destinati ad essere dimenticati dopo qualche giorno, perché non li si premia con una visita ad un museo (o perché no, una festa al museo!) o un’escursione in un parco archeologico o un laboratorio a tema in libreria? Come al solito la ricchezza intellettiva e umana dei piccoli dipende in buona parte dall’impegno culturale dei genitori e dalla capacità degli adulti di infrangere schemi sociali consolidati e stantii. La coscienza civile si costruisce in famiglia prima ancora che a scuola.
Lei è riuscita a fare del suo sogno anche il suo mestiere. In tempi come questi, purtroppo i giovani sono spesso costretti a mettere da parte le loro passioni, per adattarsi a quello che il mercato del lavoro è disposto a offrire. Quale consiglio darebbe agli studenti che sognano una strada come la sua?
G. B.: Io sono riuscita a realizzare il mio sogno, diventare archeologa, ma non sono riuscita, e come me tanti amici e stimati colleghi, a fare del mio sogno il mio mestiere. La situazione dei beni culturali in Italia e all’estero (si pensi alla Grecia e al rischio che corrono istituzioni storiche come la Scuola Archeologica di Atene) è disastrosa. I tagli che stanno colpendo il settore rischiano di compromettere seriamente l’integrità dei nostri monumenti e, di rimando, la nostra possibilità di fruirne. Gli archeologi, non inquadrati in enti di ricerca come le Università, dove d’altronde i tagli non mancano, hanno scarse possibilità di dedicarsi serenamente e appassionatamente al proprio mestiere senza alcuna preoccupazione economica. Nella maggior parte dei casi si rivela necessario integrare i magri guadagni con lavoretti part-time (io ne conto diversi in questo periodo), sottraendo in questo modo tempo allo studio e alla ricerca. Per frenare questo degrado culturale, risanare il nostro patrimonio e garantire agli operatori del settore di esercitare la professione per cui hanno studiato, c’è bisogno di un enorme sforzo politico ed economico da parte delle istituzioni, ma ancor più di una sensibilizzazione allargata nei confronti di queste problematiche. In Paesi come la Francia e la Germania, nonostante la crisi, si continua ad investire in cultura, da noi si programma di costruire una discarica vicino Villa Adriana e si lascia che Pompei crolli. È questa la differenza.
Ciò nonostante, se mi capitasse di incontrare giovani realmente intenzionati e fortemente motivati ad intraprendere questa professione, non me la sentirei di dissuaderli. Credo che i momenti di crisi come quello che stiamo vivendo si superino solo grazie agli sforzi di quanti cercano di realizzare le proprie utopie. E i nostri monumenti hanno un disperato bisogno di uomini che agiscano controcorrente...
Per concludere, quali sono i vostri progetti per il futuro? Realizzerete un nuovo progetto insieme?
G. B.: Per quel che mi riguarda, continuerò la mia azione di divulgazione nelle scuole e laddove mi verrà concesso di parlare di archeologia. Puntare sui bambini è fondamentale perché significa investire sul futuro già nel presente. Ed è importante far capir loro che fare l’archeologo deve essere considerato usuale e necessario come fare l’ingegnere o il medico o l’insegnante. Gli archeologi non sono extra-terrestri ma uomini e donne in carne e ossa e hanno il compito vitale di scovare e preservare l’antico nei luoghi in cui viviamo. Per il resto, non escludo in futuro di dedicarmi alla scrittura di altri testi didattici. Ho in mente già qualche idea. Ovviamente, Domenico è già allertato!
Maria Teresa Ricci
[LEGGI L'ARTICOLO SU BITONTOTV]
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